GALLERIA FONTI, NAPOLI – FINO AL 15 NOVEMBRE. LA COLLETTIVA ALLESTITA NELLA GALLERIA PARTENOPEA ANALIZZA GLI STEREOTIPI LEGATI A NAPOLI, “ESPORTATI” NEL MONDO DAI SOCIAL MEDIA E DALLE TECNOLOGIE DIGITALI IN GENERE.
Nell’era della globalizzazione in cui tutto sembra prepotentemente produttivo, la galleria Fonti, con Vendi Napoli e poi muori, indaga il concetto di ‘napoletanità’ come brand, attraverso le opere degli artisti Gianluca Panareo, Sagg Napoli, Sven Sachsalber, Constantin Thun e Maurizio Esposito. A cura di Lorenzo Xiques, sulla base della propria esperienza sul territorio partenopeo, la collettiva presenta un contributo da parte di ciascun artista: c’è chi ci è nato e cresciuto e chi porta con sé ricordi vissuti solo di passaggio.
“Vedi Napoli e poi muori”, scrisse il poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe una volta tornato in Germania dopo un soggiorno nel capoluogo campano nel 1787. Rimase così affascinato dall’energia di questa terra, tra monumenti, colori, sole, mare e Vesuvio, da riuscire a fare sua l’essenza di una vita “senza affanni”. Un modus vivendi che nel tempo si è articolato in base all’occorrenza dei fatti della città, senza mai lasciare quella continua ricerca di compromesso in cui “tutti vivono in una specie di ebbrezza e di oblio di se stessi”.
Sono gli stessi aspetti che oggi, attraverso i media e quindi la tecnologia, tendono a essere troppo ostentati e quindi brandizzati: da “vedi” si passa così a “Vendi Napoli e poi muori” ‒ titolo della mostra ispirato al romanzo dello scrittore e docente universitario Gennaro Ascione. In queste pagine l’autore ridicolizza e denuncia il concetto di napoletanità quale è oggi, diventato perlopiù un modello di manovra politica ed economica in tutto il mondo. Una città enfatizzata dai media e dai fatti di cronaca tanto da essere alla mercé di produzioni televisive internazionali come Gomorra: Napoli diventa un racconto noir e distopico, in cui si susseguono immagini e aspetti che sottolineano un eccesso di napoletanità in ogni ambito in termini culturali, politici, nonché di turismo di massa. Una moltitudine di stereotipi in cui si fa fatica a trovare la capacità di analisi della realtà da cui staccarsi per ritornare al vero. Attraverso diversi personaggi, Napoli diventa così un pretesto per raccontare una realtà che molto probabilmente potrebbe appartenere a tante altre città nel mondo e a ricordare la personalità di un luogo destinato poi a diventare quasi un non-luogo. Gli artisti in mostra indagano proprio questo aspetto, lasciando spazio a un grande interrogativo che a sua volta ne comprende tanti altri: “Napoli a chi interessa veramente?”.
LA MOSTRA
“Non appartiene ancora a nessuno, se non alla città stessa”. Con queste parole, oltre al fatto che il colore risulta non essere ancora brevettato, Sven Sachsalber presenta nella prima sala l’opera site specific Giallo Napoli. Una griglia di caselle riempite di colore giallo a olio richiama la tonalità originale con cui gli impressionisti erano soliti definire Napoli: una gradazione luminosa, chiara, brillante che ritroviamo nel tufo napoletano, nelle ginestre che fioriscono sul Vesuvio, nel colore del limone e in San Gennaro, chiamato anche Faccia gialla dai fedeli.
Untitled ‒ ampoule of San Gennaro’s blood, di Constantin Thun, è una delle cartoline che l’artista ha inviato ad alcuni amici in Europa durante il suo soggiorno a Napoli nel 2015. Sulla cartolina è incisa la parola NUMI, utilizzata in logopedia per la rieducazione in caso di disabilità cognitive e comunicative del linguaggio scritto/orale, oggi un problema di comunicazione nell’era digitale.
Con due fotografie, invece, Maurizio Esposito ritorna alle proprie origini: Vesuvio, 11 luglio 2017 e Ghost Trees. Immagini che suonano come atto di denuncia dopo il vasto incendio che a luglio 2017 ha bruciato circa 3mila ettari di pinete e causato la morte di animali, tra cui 50 milioni di api. Un dramma che ha suscitato nell’artista un senso di smarrimento e forza che lo ha indotto a collaborare con i vigili del fuoco per salvare il paesaggio.
Nella seconda sala, in You are cancelled, SAGG Napoli dichiara senza mezzi termini che Partenope non si tocca e lo fa con un graffito che recita così: “Use my city as a theme park I cancel you. My culture as a costume I cancel you” (Se usi la mia città come un parco giochi e la mia cultura come un costume, io ti cancello). L’artista basa la sua ricerca tra performance, social network e altri linguaggi che interagiscono tra loro e che lasciano emergere aspetti della città oramai troppo svenduti all’estero tanto da farle perdere la propria cifra storica e culturale. In The doors of the Mountain King’s Hall, Gianluca Panareo ripropone una parte della performance realizzata nel 2017 in cui alcuni ragazzi lanciavano pallonate su lastre tipografiche in metallo. Gli “scugnizzi” giocando a pallone hanno generato così un’opera sonora site specific: l’artista ha assorbito i rumori delle pallonate lanciate con forza grazie a dei sensori posti dietro alle lastre, realizzando in questo modo un “concerto di musica noise” che nel tempo ferma quei “rumori che fanno tanto Napoli”.
Per Artribune