Castel dell’Ovo, Napoli ‒ fino all’11 maggio 2019. Allestita su due livelli, “Stories” è la grande personale napoletana del duo milanese composto da Antonio Managò e Simone Zecubi. Il percorso è suddiviso in tre sezioni ben distinte, la cui narrazione è dettata dal tempo, a partire dai primi lavori fino ai più recenti.
A cura di Marina Guida, il percorso espositivo di Stories è un chiaro esempio di come J&Pegindaghino il concetto di attualità: la prima sala del castello accoglie una serie di fotografie in acrilico e pvc di grandezze differenti, ciascuna delle quali rimanda a una realtà con cui confrontarsi. Piccole sagome sono messe in evidenza nei dettagli attraverso un intervento di post produzione con la pittura di un colore acceso, così da evidenziare linee e curve grazie a tonalità forti, stagliate prepotentemente contro lo sfondo nero. Come in Waiting for the destiny (2010), che a tratti ricorda le visioni pittoriche dell’olandese Hieronymus Bosch.
POSE E INDIVIDUI
Al secondo piano, invece, le opere si fanno più misteriose. Improbabili individui posano senza volto raccontando la propria presenza/assenza allo spettatore. Talvolta dall’impatto inquietante, ogni installazione nella sala racconta una storia con silenzio assordante, come in Caso 915 (2013), che a prima vista suona come una sorta di denuncia data la precarietà lavorativa attuale: le figure sono in fase di partenza o di arrivo? Pose e gesti palesano lo smarrimento del singolo, per il quale l’attesa mista all’inquietudine si fa speranza.
Allo stesso livello, infine, in un’altra ala del castello, ci sono gli ultimi lavori di J&Peg, ossia alcune fotografie realizzate in lambda print e dibond. Qui il tema si fa ancora “più sentito” perché presentato su grande scala: il ruolo dei social network nella società globale. Colori cangianti accolgono il fruitore in atteggiamenti “studiati ad hoc” per l’obiettivo, quello della fotocamera per Instagram: ogni soggetto ostenta la propria opulenza tra pellicce, gioielli e sguardi freddi.
Ne sono un esempio Molly, Manuel e anche Candida. Ciascuna opera presenta un velo semitrasparente che evoca una sorta di maschera “indossata” all’occorrenza per raccontare ai più la persona che la società impone in qualche modo di essere per farsi accettare, oppure quello che ciascuno individuo vorrebbe diventare. È lo smarrimento dell’essere oggi, tra un selfie e l’altro.
GLI ARTISTI
Con una formazione all’Accademia di Brera, il duo artistico, che attualmente vive e lavora a Milano e Londra, inizia la carriera nel 2006 nel capoluogo lombardo, sperimentando tecniche varie fino a farle convivere in ogni singola opera. La personale è stata organizzata di concerto con l’Assessorato alla cultura e al turismo del Comune di Napoli e dalla Galleria Poggiali di Firenze, che con J&Peg ha già all’attivo una precedente collaborazione nel 2008 per la mostra Working Matres, a cura di Achille Bonito Oliva.
Con l’esposizione di Castel dell’Ovo, J&Peg raccontano il quotidiano presente in ogni realtà, magari con sfumature differenti e spesso enfatizzate sulle piattaforme social in cui, in un modo o nell’altro, ci siamo un po’ tutti. Proprio come nelle stories di Instagram.
Per Artribune