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PAROLA ALL’ARTISTA NAPOLETANO GIANLUIGI MARIA MASUCCI, CHE HA TROVATO NELLA SUA CITTÀ L’ISPIRAZIONE PER DARE FORMA ALLA PROPRIA RICERCA, MESCOLANDO STORIA ANTICA E CONTEMPORANEA, MITO E QUOTIDIANITÀ.
Un “tesoro” che si trovava nel centro di un blocco di piperno. Un foro scavato a colpi di martello e riempito di acqua, solventi e colori che poi incendiava ogni giorno, dopo pranzo, a casa sua. Questa è stata la sua prima opera, da giovanissimo. Così, dopo anni, Gianluigi Maria Masucci (Napoli, 1981) decise che il “tesoro” erano quel foro e quella pietra dura. Lavica. Elementi da cui è iniziata la sua carriera d’artista e che raccontano le sue radici, dapprima a Napoli con Punto Magnetico per l’arte contemporanea e poi a Ginevra, con un secondo studio, dove ancora oggi è attivo a periodi alterni.
Dopo una breve esperienza teatrale, dal progetto La congiunzione degli opposti ad Ante Nata, tra performance, video, disegno, fotografia e installazioni, l’artista si racconta con parole che per certi versi suonano da monito alla ricerca di tracce e simboli per generare un’energia inedita e interconnessa.
Quando hai capito che il mondo dell’arte in qualche modo sarebbe stato tuo?
Per mondo dell’arte, oggi, si intendono anche tanti luoghi (e non luoghi), spazi e dinamiche interpersonali molte delle quali non condivido e non riconosco essere “dell’arte”. L’Arte è una e ha infiniti mondi, nessuno di questi può essere posseduto da qualcuno. Ho iniziato a praticarla molto presto per gioco, poi è diventata strumento di conoscenza. Oggi è per me una forza di elevazione personale e collettiva.
Raccontaci il tuo esordio all’estero.
Nel 2012 ho iniziato a viaggiare, interrompendo così quella relazione osmotica con la città di Napoli che ha caratterizzato un lungo periodo di ricerca riguardo alle tematiche che legano il corpo umano e il corpo urbano, attraverso le sfere dell’ascolto e l’osservazione. Iniziai a viaggiare per l’Europa alla ricerca di nuove esperienze in posti totalmente diversi da quello da cui ero partito. A Ginevra ho avuto la possibilità di sperimentarmi in un territorio diverso, di ripartire da zero, imparando a conoscere la città, le zone limitrofe e una nuova lingua.
Parlaci di Ginevra.
Il lago e la montagna sono rispettivamente l’origine del fiume Rhône e del suo affluente Arve che attraversano la città, dando principio a un percorso che sfocia nel Mediterraneo. Il fiume mi ha guidato alla riscoperta dell’ancestrale. L’ho seguito quotidianamente per quattro anni, durante i quali ho imparato dall’acqua importanti principi senza cui non avrei potuto intraprendere il mio attuale percorso a Napoli. La ricerca ha avuto la sua svolta dopo i primi due anni e mezzo, quando ho rilevato nel movimento del riflesso del sole nell’acqua una “scrittura naturale”, che pone in rilievo peculiarità universali della scrittura tutta, nonché una profonda riflessione sulla luce e sulle sue proprietà di trasmissione. Tale scrittura si mostrò le prime volte in quelle aree in cui l’acqua del fiume vinceva la resistenza di un ostacolo, un masso o il pilastro di un ponte.
L’ARTE SECONDO MASUCCI
Quali esiti ha avuto questa ricerca?
Fluire è il titolo del progetto che per quattro anni ha raccolto i risultati della mia opera attraverso dipinti e disegni, videoproiezioni immersive, video e fotografie. Altro aspetto importante del viaggio riguarda lo studio trovato presso un’ex struttura industriale: le Fonderie Kugler, collocato proprio sull’incrocio dei due fiumi e luogo di condivisione molto interessante. Altro importante incontro è stato quello con Barbara Polla e Analix Forever, galleria di cui mi avevano già parlato qui in Italia prima di partire e che adesso segue il mio lavoro rappresentandomi in Svizzera e in Francia.
A proposito di territorio: come nasce il progetto La congiunzione degli opposti?
Nasce con un richiamo. La non separazione tra interno ed esterno è uno dei principali pilastri della Congiunzione degli opposti, progetto che sollecita, attraverso un invito, all’ascolto, a un processo di osmosi individuale e collettiva, il rapporto con l’origine. Siamo a Napoli, città sacra. Partiamo da ciò che è manifesto nella sua matrice urbana. Per orientarmi in questo percorso ho ideato il Diagramma Neapolis, una composizione geometrica attraverso la quale ho scoperto, e reso leggibile, una relazione armonica che lega la Tetraktys Pitagorica con l’impianto della Napoli greco-romana. Il Diagramma Neapolis individua nell’impianto della città ‒ in corrispondenza delle aree dove le linee si intersecano ‒ zone in cui ancora oggi sono collocati luoghi di grande forza e di rilievo storico e artistico. In buona parte luoghi dedicati al culto. Sono queste le aree di riferimento in cui l’opera procede.
Ogni progetto, performance è un invito rivolto alla collettività.
Ogni area interessata ispira i temi della ricerca che coinvolge i luoghi e la collettività. I luoghi, nella forma che hanno assunto nel tempo, l’iconografia presente, le energie depositate nei secoli. Si coinvolgono le persone e soggetti terzi (attività commerciali, comunità, associazioni) presenti sul territorio attraverso un invito a riflettere, meditare e dialogare su tematiche che i luoghi stessi ispirano. Emergono così nuove possibilità di interpretazione, della storia e dei valori che connotano quell’area. Questo processo culmina in performance, installazioni e opere grafico-pittoriche nelle quali si condensano le intere esperienze tradotte in flussi: le proiezioni diventano così un’estensione della pittura nello spazio, i fasci luminosi, parte delle sculture, le performance, abbracciano un fare dichiaratamente rituale e partecipativo attraverso cui rievocare un senso comunitario attorno all’origine.
Ci fai qualche esempio?
Campus è l’occasione per distinguere la forza attiva del porre una promessa da quella passiva dell’esprimere un desiderio, in un atto rituale che richiama la sacralità del fuoco, elemento che costituisce i quattro vertici dell’opera scultorea di ferro e luce. Collocata nel punto medio tra la guglia dell’Immacolata e quella del Gesù ‒ Via Benedetto Croce (Spaccanapoli) ‒, ha accolto le mille e più promesse scritte sul legno dai partecipanti. Parole dedicate alla città e che, offerte al fuoco, hanno reso visibile l’altissimo fascio luminoso della scultura anche da grandi distanze.
Caponapoli, chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli, è al centro dell’antica acropoli greca nella quale flussi pittorici e video proiezioni immersive di corsi d’acqua si intersecano all’architettura e agli scavi archeologici. L’inchiostro e le luci proiettate seguono un andamento ascendente e rotatorio rilevato da una inedita e personale rilettura dell’iconografia della chiesa, nell’altare di Girolamo Santacroce, nelle tracce rinvenute sull’arco in piperno. Una riflessione sulla qualità di uno spazio sacro, profanato nei secoli innumerevoli volte da furti efferati e cataclismi. E il tempo, inteso nella sua accezione sia storica che cosmica.
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