Arte o provocazione, purchè se ne parli. L’artista Maurizio Cattelan sembra sapere bene come far parlare di sé e stavolta lo fa nelle vesti di curatore. Per la mostra Shit and Die fino all’11 gennaio a palazzo Cavour di Torino, ha scelto di stravolgere il concetto di “mostra” a cui siamo abituati, con un percorso in sette sezioni scandito da silenzi, morte e tristezza. Beh, detto così sembra quasi che l’appuntamento voglia essere tutt’altro che una piacevole visita culturale, ma ti sbagli. Si tratta invece, di un percorso ibrido fatto di immagini e opere che, pur non avendo molto in comune tra loro, racchiudono l’arte concettuale con cui lo stesso Cattelan ha convinto il suo pubblico durante la carriera. E il titolo la dice lunga.
I richiami alle grandi opere di Piero Manzoni, di Bruce Nauman o le stesse dell’artista padovano, sono inevitabili: da Merda d’artista a One hundred live and die passando per Now, sono riferimenti che denotano un senso critico e autocritico di Cattelan giunto alla sua maturità artistica con una continua voglia di mettersi in gioco.
Con la collaborazione di Marta Papini e Myriam Ben Salah, l’esposizione nel palazzo barocco che fu dello statista Camillo Benso di Cavour, indaga sui temi della morte e del male e racconta la nascita e la crescita culturale di una Torino che ha conosciuto, oltre al periodo dell’industrializzazione, anche momenti critici come le forti differenze sociali che col tempo l’hanno caratterizzata. Da qui il titolo tanto enigmatico quanto profondo.
A comporre questo viaggio artistico promosso dalla direttrice Sarah Cosulich Canarutto, sono 61 artisti che si alternano nelle stanze settecentesche, tra cui: Iris Van Dongen, Jakub Julian Ziolkowski, Andra Ursuta, Francesco Vezzoli, Claire Tabouret, Ida Tursic e Wilfried Mille, Matthew Watson, Aleksandra Waliszewska, Maurizio Vetrugno, Davide Balula e ancora, le fotografie di Carlo Mollino e Carol Rama, Sèance il film di Yuri Ancarani sull’evocazione dell’assenza mediante una seduta spiritica o la Forca usata a Torino fino al 1863 per impiccare i condannati a morte, i ritratti deformati di personaggi illustri e le opere, Dead man working e Expanded crash di Florian Pugnaire e David Raffini.
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