Maschio Angioino, Napoli ‒ fino al 26 novembre 2018. L’arte di Franz Borghese rivive nella mostra in corso a Napoli. Uno sguardo al passato che riecheggia attraverso il presente.
Ci rivedremo a Filippi è il titolo della personale di Franz Borghese (Roma, 1941-2005) allestita al Maschio Angioino di Napoli A ingresso gratuito, la mostra si apre con una scultura in bronzo intorno alla quale venti disegni a china, otto tempere e sette acqueforti presentano le tecniche dell’artista scomparso a Roma prematuramente.
Durante la carriera, Borghese ha raccontato la società in qualità di spettatore senza mai trascendere e quindi condannarla, ma raccontandola per quella che era a inizio secolo e che, per certi versi, si presenta ancora oggi. I temi delle opere richiamano perlopiù la vita borghese, a volte specchio dell’apparenza, poi le caste professionali, ma anche la follia, la guerra e lo sfarzo, che delineano con sarcasmo un’attualità universale senza pari, sia sul piano politico che sociale.
Lo stile richiama l’espressionismo di George Grosz, ma di impostazione tutta italiana come si evince dalle didascalie delle “vignette”, delle acqueforti realizzate negli Anni Settanta a tiratura limitata: Ingegnere mia figlia è una perla (1975) recita l’opera in cui l’amore incondizionato di un genitore per i propri figli viene (a volte) ostentato. Oppure Solo col sangue si lava l’onore (1975) e ancora Cosa dirò a Clotilde stasera? (1975). Le opere sono vere e proprie metafore in cui lo status sociale diventa una effimera apparenza: “’A morte ‘o ssaje ched’ ‘e? È una livella” (La morte lo sai cos’è? È una livella). Così recita un passo della poesia in lingua napoletana ‘A livella (1964) di Antonio De Curtis in arte Totò, in cui prima o poi il potere, le differenze sociali e culturali si livellano, si allineano per sempre con il momento della dipartita.
Da New York a Madrid, da Parigi a Torino, ma anche Monaco e Amsterdam, l’ironia di Franz Borghese è stata esposta in tutto il mondo e a Napoli, in tre sezioni, Ci rivedremo a Filippi offre ai visitatori una selezione di opere degli Anni Settanta e Novanta.
IL TITOLO DELLA MOSTRA
“La scelta del titolo della mostra è caduta proprio sull’opera omonima, perché credo rappresenti ancora oggi la nostra società in tutte le sue forme”, precisa Marina Guida, curatrice della personale. Il titolo fa riferimento alla frase “Sono il tuo cattivo demone, Bruto ci rivedremo a Filippi”, parole che il fantasma di Giulio Cesare rivolse a Bruto, quest’ultimo tormentato dai sensi di colpa per aver partecipato alla congiura nella quale l’imperatore romano venne assassinato.
Tutto accadde quando a Filippi, in Macedonia, nel 42 a.C. le truppe repubblicane di Bruto e Cassio si scontrarono con l’esercito di Ottaviano e Antonio, eredi della politica di Cesare. Dopo la prima sconfitta, l’esercito imperiale prese il sopravvento sui repubblicani e Bruto, per non essere catturato dagli avversari, decise di suicidarsi e, proprio in quegli attimi, ricorda le Idi di marzo quando nel 44 a.C. Giulio Cesare venne ucciso da un gruppo di congiurati capeggiati proprio da Bruto e Cassio, che volevano una Roma repubblicana.
L’episodio è stato ripreso da Plutarco nell’opera Vite parallele e nel Giulio Cesare di William Shakespeare. “Ci rivedremo a Filippi” è una espressione che attualmente sottolinea che prima o poi si arriva alla resa dei conti, per tutti, e Franz Borghese non fa altro che illustrare in chiave caricaturale la debolezza umana.
Per Artribune