Il 16 novembre 2018 ai Musei Reali di Torino, nelle Sale Palatine della Galleria Sabauda, apre al pubblico la straordinaria mostra dedicata ad Antoon van Dyck (Anversa, 1599 – Londra, 1641), il miglior allievo di Rubens, che rivoluzionò l’arte del ritratto del XVII secolo. Personaggio di fama internazionale e amabile conversatore dallo stile ricercato, Van Dyck fu pittore ufficiale delle più grandi corti d’Europa e ritrasse principi, regine, gentiluomini e nobildonne delle più prestigiose dinastie dell’epoca.
Attraverso un percorso espositivo che si dispiega in quattro sezioni, 45 tele e 21 incisioni, la mostra Van Dyck. Pittore di corteintende far emergere l’esclusivo rapporto che l’artista ebbe con le corti italiane ed europee, ove dipinse capolavori unici per elaborazione formale, qualità cromatica, eleganza e dovizia nella resa dei particolari, soddisfacendo le esigenze di rappresentanza e di status symbol delle classi dominanti: dagli aristocratici genovesi ai Savoia, dall’arciduchessa Isabella alle corti di Giacomo I e di Carlo I d’Inghilterra.
Raggiunta già all’età di vent’anni la fama di pittore acutissimo, Van Dyck fu nominato artista di corte dal re Giacomo I d’Inghilterra. Le sue opere sono dunque anche un modo per entrare nel fastoso universo seicentesco, per scoprire le altissime ambizioni dei personaggi che si fecero ritrarre dalla “gloria del mondo”, come Carlo I si riferiva al maestro fiammingo, per accrescere il lustro e il prestigio della corte.
Proprio in Italia, Paese che Van Dyck frequentò lungamente provando una grande attrazione per i suoi maestri, avviò i contatti con l’aristocrazia genovese, i sovrani torinesi e i duchi di Firenze, committenti che lo condussero a specializzarsi nella ritrattistica. Formandosi sui modelli di Tiziano e approfondendo la conoscenza delle esigenze celebrative della committenza, Van Dyck elaborò un genere del tutto personale, caratterizzato da una grande perfezione formale.
Al grande artista i Musei Reali di Torino e Arthemisia dedicano una grande esposizione incentrata sulla sua vasta produzione di ritratti e non solo: le opere esposte provengono dai musei italiani e stranieri più prestigiosi come la National Gallery di Washington, il Metropolitan Museum di New York, la National Gallery di Londra e la Collezione Reale inglese, la Scottish National Gallery di Edimburgo, il Museo Thyssen-Bornemiza di Madrid, il Kunsthistorishes Museum di Vienna, l’Alte Pinakotek di Monaco, il Castello Arcivescovile di Kromeriz presso Praga, le Gallerie degli Uffizi, i Musei Capitolini di Roma, la Ca’ d’Oro di Venezia, la Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, il Palazzo Reale e i Musei di Strada Nuova di Genova, in dialogo con l’importante e corposo nucleo dii capolavori della Galleria Sabauda.
Van Dyck fu creatore di un’arte raffinata e preziosa: i suoi ritratti, affascinanti, maestosi e penetranti, erano ricercatissimi dall’alta aristocrazia e ad essi si deve la sua fama incontrastata. Opere come la Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo, il Cardinale Guido Bentivoglio, Emanuele Filiberto Principe di Savoia, l’Arciduchessa Isabella Clara Eugenia in abito monastico, Il Principe Tomaso di Savoia Carignano, Carlo I e la Regina Enrichetta Maria sono esempi sublimi dei suoi ritratti che, con naturalezza e spontaneità dei gesti, la cura estrema nella resa dei materiali preziosi come sete e merletti, con pennellate impalpabili che creano atmosfere vibranti e seducenti, esercitano ancora oggi un fascino irresistibile.
Grandi e importanti sono anche le tele dedicate ai miti, i cui racconti erano tanto in voga nell’iconografia del tempo, come Giove e Antiope, Amarilli e Mirtillo, Vertumno e Pomona e Venere nella fucina di Vulcano. La mostra è organizzata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Musei Reali di Torino e dal Gruppo Arthemisia, con il patrocinio di Regione Piemonte e Città di Torino. La cura dell’esposizione è affidata ad Anna Maria Bava e Maria Grazia Bernardini e a un prestigioso comitato scientifico, composto da alcuni tra i più noti studiosi di Van Dyck quali Susan J. Barnes, Piero Boccardo e Christopher Brown.
L’iniziativa è sostenuta da Generali Italia attraverso Valore Cultura, il programma per promuovere l’arte e la cultura su tutto il territorio italiano e avvicinare un pubblico vasto e trasversale – famiglie, giovani, clienti e dipendenti – al mondo dell’arte attraverso l’ingresso agevolato a mostre, spettacoli teatrali, eventi e attività di divulgazione artistico-culturali con lo scopo di creare valore condiviso.
LA MOSTRA
La prima sezione è dedicata alla formazione del giovane artista e al suo rapporto con Rubens.
Van Dyck, dopo un breve apprendistato presso l’attivissima bottega di Van Balen, iniziò una stretta collaborazione con Peter Paul Rubens, uno dei più grandi artisti del Seicento, che ebbe una influenza decisiva nell’elaborazione dei suoi modi stilistici. Per le sue straordinarie capacità, a diciotto anni Van Dyck entrò nella Gilda di Anversa e aprì una sua personale bottega, pur mantenendo la collaborazione con il maestro per grandi imprese pittoriche, fino alla sua partenza per l’Italia. Fin dalle sue prime opere, molto legate allo stile di Rubens, emerge un linguaggio originale e innovativo, caratterizzato da una vena poetica, lirica, che si differenzierà dallo stile epico del maestro.
La seconda sezione si sofferma sull’attività di Van Dyck in Italia.
Dopo un breve soggiorno a Londra presso la corte di Giacomo I, Van Dyck giunse in Italia nel 1621, dove si trattene fino al 1627, visitando Venezia, Torino, Roma, Bologna, Firenze, Palermo e Genova. Nelle “regge repubblicane” genovesi si affermò il nuovo modo di ritrarre elaborato da Van Dyck, superbo, raffinato, maestoso e al contempo vivo e fortemente emotivo, confacendosi alle esigenze di celebrazione e ostentazione del ceto aristocratico. D’altronde fu proprio in Italia che l’artista seppe definitivamente creare il suo impalpabile ed elegante linguaggio grazie allo studio dell’arte italiana, in particolare dell’arte veneta e di Tiziano, come provano gli schizzi raccolti nel noto Sketchbook, conservato al British Museum e riprodotto in mostra. I primi ritratti realizzati in Italia da Van Dyck sono capolavori straordinari, come il Cardinale Bentivoglio (Firenze, Gallerie degli Uffizi) e la Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo(Washington, The National Gallery of Art), entrambi esposti in mostra. Negli anni successivi, l’artista eseguì un numero cospicuo di ritratti e affinò l’attenzione verso la resa pittorica delle stoffe dai ricami preziosi, l’ambientazione atmosferica e lo studio psicologico dell’effigiato.
La terza sezione è dedicata gli anni anversesi, presso la corte di Isabella Clara Eugenia.
Tornato ad Anversa nel 1627, divenne pittore di corte dell’arciduchessa Isabella Clara Eugenia, sostituendo Rubens. Ebbe occasione di lavorare anche per lo stadholder Frederik Hendrik, principe d’Orange, che collezionò vari dipinti dell’artista tra cui opere a soggetto mitologico come Amarilli e Mirtillo e Teti nella fucina di Vulcano. In questo periodo Van Dyck raffigurò molti personaggi dell’ambiente vicino a Isabella, una galleria eccezionale di dipinti e incisioni: queste ultime furono raccolte nel volume Iconographia e in mostra ne sono esposti 13 esemplari, provenienti dall’Istituto Centrale della Grafica, accanto ad altre 8 incisioni di collezione privata. Sono presenti anche i ritratti dell’arciduchessa Isabella in veste monacale, in un confronto tra Van Dyck e Rubens.
La quarta sezione illustra l’attività di Van Dyck presso la corte di Carlo I.
Nel 1632 si trasferì a Londra, presso la corte di Carlo I, dove rimase fino alla morte prematura, avvenuta nel 1641, a parte qualche breve soggiorno ad Anversa e a Parigi. Fu presso la corte inglese che Van Dyck raggiunse il culmine della sua fama. Realizzò un numero sorprendente di ritratti del re, della regina, dei loro figli (come le due versioni de I tre figli maggiori di Carlo I in mostra) e un gran numero di personaggi che frequentavano assiduamente la corte del re d’Inghilterra, regalandoci un panorama davvero sorprendente di quella società: i sovrani sereni e potenti, i personaggi di grande eleganza e raffinatezza, sontuosamente abbigliati, ritratti di lords, duchi, principi, ladies, da cui poco si coglie delle difficoltà politiche che l’Inghilterra attraversava con Carlo I. Affascinato dalle arti, tanto da raccogliere una delle più importanti e cospicue collezioni d’arte del mondo, sostenitore dei grandi ideali di pace, armonia e concordia familiare, il sovrano fece scelte politiche sbagliate che condussero alla guerra civile, alla sua condanna culminata nella decapitazione.