PAN – Palazzo delle Arti di Napoli ‒ fino al 23 novembre 2018. Gli scatti di Luisa Menazzi Moretti danno voce alla questione dei migranti, anteponendo l’identità individuale a qualsiasi pregiudizio o luogo comune.
Io sono è la mostra itinerante di Luisa Menazzi Moretti (Udine, 1964) che, dopo Matera, Potenza e Lecce, ha raggiunto Napoli. La personale è un reportage del 2017 realizzato nel giro di alcuni mesi sulla questione dei migranti, con venti fotografie a grandezza (quasi) naturale. Un titolo semplice, ma che fuga ogni dubbio. Non una classica mostra fotografica, bensì un vero e proprio viaggio attraverso i soggetti ritratti, che sembrano presentarsi uno ad uno al visitatore di turno, e raccontare occhi negli occhi la propria storia.
Quasi come a “scusarsi di essere migranti”, di essere nati nel “luogo sbagliato” del pianeta, ogni soggetto protegge tra le mani un qualcosa che lo rappresenta; come Tresor, ad esempio, che arriva dal Congo e ha due bambini. Quelli che gli restano. Perché, dopo essere scappato con la sua famiglia in Algeria e in Libia, il terzo figlio muore sul barcone insieme alla mamma durante la traversata, e così ha scelto di farsi ritrarre con un computer con le loro foto. Oppure Adama, del Senegal, diciotto anni, costretta a scappare perché a quattordici lo zio l’aveva promessa in sposa a un amico anziano e, se non avesse accettato, l’avrebbe uccisa. Da sola e senza una precisa meta, è andata in Gambia, Mali, Niger e poi in Libia dove “l’inferno mi ha umiliato”, racconta, fino ad arrivare in Italia, in Sicilia.
LA MOSTRA
In quattro sale, la mostra-monologo narra vite in cerca di futuro, lontano da Afghanistan, Nepal, Siria, Costa d’Avorio, Pakistan, Eritrea ed Etiopia, vite che, accolte in Basilicata, Luisa Menazzi Moretti decide di raccontare dando voce alla loro stessa storia; senza intermediari e direttamente con parole e oggetti che, in alcuni casi, comunicano più di ogni testo. Storie di dolore e attualità, come quella del giovane egiziano Said: “Ci hanno arrestati mentre aiutavamo dei migranti in mare”, vicenda che ricorda per certi versi Mimmo Lucano, il sindaco di Riace, in Calabria. Io sono ha ricevuto due honorable mentions all’International Photography Awards di New York: una al video Io sono/I am (presente anche nella mostra napoletana) già premio One Eyeland, Bronze e l’altra alle fotografie per la categoria People- Other.
LA FOTOGRAFA
È negli Stati Uniti che Menazzi Moretti muove i primi passi nella fotografia, durante gli studi universitari a Houston, per poi trasferirsi a Londra e infine in Italia. Da qui probabilmente nasce la voglia di indagare sul tema dell’identità. Come per il progetto Ten years and eighty-seven days (2016), in cui narra le storie dei prigionieri del braccio della morte del carcere di Livingston (Texas), dove le esecuzioni sono all’ordine del giorno. E anche in Io sono le identità degli individui vengono prima di essere definiti migranti, perché queste storie sono le stesse che si intrecciano con altre simili ogni giorno, più volte al giorno, verso la speranza. Il progetto è documentato nel libro omonimo (2017) e, dopo la tappa partenopea, la mostra giungerà a Milano.
Per Artribune