I social network hanno cambiato radicalmente le nostre abitudini quotidiane mettendo in discussione i concetti di sfera pubblica e privata definiti dal sociologo Jürgen Habermas nel suo saggio Storia e critica dell’opinione pubblica (1962, prima edizione) in cui precisa, in linea generale, che le due sfere si distinguono a seconda del tipo di evoluzione della società e dal periodo storico di riferimento. Concetti che oggi sembrano due realtà sovrapponibili con il Web 2.0, o meglio dei social network, perché non è semplice definire quando inizia e quando finisce la propria privacy. Certo, ciascuno è libero di decidere cosa condividere o meno in Rete della propria vita privata, quindi l’uso che se ne fa di un mezzo così importante quale è Internet, ma è dal punto di vista sociologico che alcuni progetti che nascono in e per la Rete, possono contribuire a sensibilizzare la massa su tematiche importanti come la recente campagna per i diritti e contro la violenza #BringBackOurGirls.
È il caso della mostra Auto ri-scatto. Dal selfie all’arte contemporanea: autoritratti al femminile in quattro tempi, che oggi 29 maggio 2014 al Piccolo Teatro Grassi di Milano (ma anche online), avvia un percorso “social” fatto di immagini e tweet. Cristina Cenci, Giovanna Pezzuoli e Luisa Pronzato, per citarne alcune, raccontano al pubblico alcuni momenti del proprio quotidiano svelando gli stereotipi e i ruoli femminili come terapia della ricerca di sé e conferma della propria identità.
Tre tweet, tre selfie e l’hashtag #myselfstory sono gli elementi per partecipare all’iniziativa a cui non mancherà Cristina Nuňez, catalana di origine ma milanese di adozione, che nove anni fa ha lanciato un metodo di autodeterminazione, la Self portrait experience. Nel video Someone to love (2010) racconta la sua infanzia difficile e la gelosia che nutriva verso la sorella più piccola. Rendere il dolore un’opera d’arte, capirsi e liberarsi dei sentimenti nascosti attraverso l’esperienza artistica è il suo principale obiettivo.
Non a caso il primo selfie della storia è stato proprio di una donna. Continua su Wired.