Esistono poche collezioni, o forse nessuna, che documentino una città nei minimi dettagli. Il giornalista e cultore di storia patria Gaetano Bonelli (Napoli, 1972), vomerese ma maranese di adozione, da oltre trent’anni colleziona tutto ciò che riguarda Napoli. Una raccolta in divenire di oltre diecimila pezzi tra documenti rari e oggetti unici che impreziosiscono le venti aree tematiche della Collezione Bonelli, negli spazi della fondazione Casa dello Scugnizzo nel Quartiere dell’Arte di Materdei.
“Il primo museo che visitai con mio padre e mia nonna fu il Museo Duca Di Martina in villa Floridiana, e ricordo che rimasi affascinato soprattutto dalle carte antiche: mi sentivo rapito dalla storia che poi ho amato da subito, tant’è che spesso mi improvvisavo ‘guida turistica’ quando per le vie del centro incontravo gruppi di turisti spaesati”. Incontriamo Bonelli proprio nella sede a pochi passi dal museo/archivio di arte contemporanea Casa Morra, di Giuseppe Morra, per farci raccontare come è iniziata la sua passione per Napoli.
“Frequentavo il centro storico perché ho studiato al liceo Giambattista Vico e marinavo la scuola per esplorare giardini, palazzi, chiostri, chiese e musei, perché sentivo il desiderio di vedere cosa ci fosse in città. Tornavo a casa estasiato dalla bellezza che mi riempiva, mi appuntavo tutto ciò che ancora dovevo vedere e documentavo ogni cosa. Si è alimentato così il senso civico della bellezza di questo posto, della mia città”.
Quel senso civico che nel tempo è maturato in una collezione?
Negli anni il rapporto con Napoli è diventato odi et amo. Alla consapevolezza della sua grandezza facevano seguito degrado, ruberie e mancanza di rispetto che con la maturità mi hanno portato a denunciare tutto ciò che non andava. Così, in qualità di giornalista, mi promisi di far uscire il bello della città. Il primo articolo per Napoli Notte era dedicato al restauro del portone di Palazzo Diomede Carafa, che è stato restaurato proprio recentemente. Seguirono altre collaborazioni con Il Roma e poi Il Mattino, dove avrei voluto scrivere di Napoli, ma a Marano, dove mi trasferii dal Vomero con la mia famiglia, mi chiesero di collaborare come corrispondente di zona. Altre opportunità di lavoro, invece, mi hanno consentito di portare avanti il progetto ambizioso del collezionismo.
Ci racconti come ha avviato la collezione.
Il primo approccio al collezionismo è stato con la filatelia all’età di 11 anni circa. In un palazzo di via Toledo chiesi al titolare di una filatelia se aveva qualche testimonianza riconducibile alla città di Napoli, di qualsiasi argomento. Mi mostrò una scatola con centinaia di biglietti di inizio Novecento del tram a cavallo, simbolo di tragitto antico, e in quel momento i miei occhi si illuminarono di gioia. Mi propose di prenderli tutti, ma ne selezionai solo una ventina perché al momento non avevo tutti i soldi, dato che usavo quelli della paghetta. Mi costarono mille lire ciascuno e all’epoca avevano già cento anni. Avvenne la stessa cosa in un antiquario di via Salvator Rosa, dove acquistai le carte napoletane del 1880. Acquisii la consapevolezza che a Napoli mancava un museo con un taglio antropologico, così avvertii il desiderio di recuperare tracce, testimonianze dedicate a Napoli.
La Collezione Bonelli oggi conta venti aree tematiche, fra cui Trasporti, Commercio, Enogastronomia, Autografi, Giornalismo, Istruzione, Spettacolo, Filatelica, Religione, Emigrazione, Politica, Giochi, Igiene e farmacopea. Inoltre ci sono importanti testimonianze della banca più antica al mondo, il Banco di Napoli di via Toledo, operativo fino al 2018, i progetti dell’ingegnere Pierluigi Nervi della funicolare centrale, del teatro Augusteo e della vecchia stazione centrale di Napoli. Ancora, un inedito contratto del 1832 di un pozzaro, o meglio ‘o munaciello, tra le leggende più sentite di Napoli, alcune bottiglie dei primi anni del Novecento di antichi birrifici locali quali la Birra ‘Napoli’ e ‘Partenope’, il primo locomotore progettato e realizzato nel 1846 in Italia nelle officine di Pietrarsa ‒ San Giorgio a Cremano (Napoli), uno dei primi bidet dell’Ottocento, il manifesto delle prime elezioni comunali e provinciali di Napoli del 27 marzo 1861 e i ‘pizzini’ dei garibaldini giunti in città.
“Fino a non molto tempo fa la collezione era a casa mia”, precisa Gaetano Bonelli. “Da ragazzino spesso tornavo a casa con oggetti vari che cercavo di occultare ai miei genitori perché ‘incominciavano a preoccuparsi’, ma per me ogni acquisto era ed è un’emozione. Ogni pezzo che è giunto a me è una storia da raccontare, e ciascuno è una testimonianza sottratta all’oblio. La collezione ha una dimensione tale da cui oggi è possibile realizzare sezioni museali, e di fatto è stata riconosciuta pubblicamente da vari referenti riconducibili alle diverse aree tematiche, dai politici alle istituzioni”.
Da Marano a Napoli, la collezione oggi si trova negli spazi della fondazione Casa dello Scugnizzo.
Dopo circa dieci anni di pubbliche richieste alle istituzioni, mi è stato segnalato questo luogo per poter esporre finalmente la raccolta. Il presidente della Casa dello Scugnizzo, Antonio Lanzaro, da subito manifestò la sua disponibilità, così il 12 ottobre 2017 è stata inaugurata la wunderkammer Bonelli in un quartiere simbolo dell’arte come Materdei. Questo è un luogo attivo, vivo, nel quale fare cultura tra proiezioni di cinema, teatro, presentazione di libri e iniziative commerciali, ma che abbiano tutte una matrice legata alla città. La cittadinanza deve avere contezza e rispetto di ciò che ha ereditato dal passato, anche per tramandarla ai posteri, altrimenti bisogna riscoprire quel senso civico che in molti casi è sopito, latitante o assente.
Gaetano Bonelli con questo patrimonio restituisce a Napoli tracce di una città a molti poco nota o sconosciuta, che andrebbe valorizzata con l’ausilio delle istituzioni e una rete culturale che completi la storia di tante realtà museali e non, per definire, e in certi casi recuperare, tracce di luoghi e volti che da Napoli occupano un posto importante nel mondo per scoperte, tradizioni e storia. La Collezione Bonelli vuole essere uno spazio che identifichi la cultura napoletana e che venga vissuto da quanti amano la civiltà partenopea e non solo dai cittadini locali, perché la bellezza non ha confini geografici e perché internazionali sono le radici della città – complici le dominazioni nel corso dei millenni –, fatte di energie e culture che hanno trovato una sintesi nella cultura locale.
A quale oggetto si sente più legato?
In realtà all’intero corpus, perché rappresenta un viaggio nella memoria, ma ci sono testimonianze a cui a sono più legato per motivi personali come l’abbonamento al tram di mio padre e i primi documenti che acquistai da ragazzo con grandi sacrifici. E poi le matrici in legno delle carte napoletane del 1825, la reliquia da contatto di San Gennaro della prima metà dell’Ottocento acquistata in un’asta internazionale, e che venne posta sul capo del busto argenteo della Cappella del Tesoro dedicata al patrono. Fra le venti aree tematiche, invece, sono particolarmente legato a quelle riconducibili all’Emigrazione, al Teatro San Carlo e al Banco di Napoli.
Qual è il pezzo più raro?
Circa il 90 per cento delle testimonianze sono uniche. Non a caso è una raccolta atipica perché, mentre ci sono collezioni di dipinti, porcellane, monete, medaglie e francobolli che hanno un valore importante la cui rarità è dettata dal mercato, la mia collezione ha un valore inestimabile dal punto di vista documentaristico: menu, banconote, medaglie, biglietti di vari, manifesti di tutti i teatri napoletani a partire dall’epoca borbonica. La collezione è nata per amore della città e per la consapevolezza dell’inestimabile valore con cui è possibile costruire e ricongiungere testimonianze che altrimenti sarebbero misconosciute o perse per sempre.
Progetti futuri?
È importante ampliare lo spazio espositivo per realizzare mostre tematiche ogni tre, quattro mesi per ciascuna area tematica, pianificare ulteriori eventi culturali e creare rete con musei e istituzioni per il bene della collettività attraverso l’unione di energie propositive per concorrere al riscatto di zone bellissime e antichissime che non sono state ancora inserite nell’ambito turistico della città. Chiunque è venuto a farmi visita è rimasto entusiasta, perché queste testimonianze sono di tutti, io sono solo il custode pro tempore di questa raccolta. Spesso arrivano scolaresche e i ragazzi, se stimolati, manifestano sempre curiosità e interesse. La collezione può essere intesa come l’inizio di una apertura verso i musei da parte dei giovani, per far capire che la bellezza è per tutti. In un gruppo di venti ragazzi, se anche solo uno rimane folgorato, per me è una conquista. Laddove ci sono barriere, bisogna lavorare sulla bellezza e l’unico valore che posso certificare alla collezione è quello documentaristico, ritenuto tale anche dagli istituti competenti perché il valore venale non l’ho mai contemplato: dove c’è questo aspetto non ci sono più io.
Per Artribune